Rinascita occitana

Il sorgere di una nuova dimensione dell'identità etnica e territoriale nelle valli piemontesi di lingua d'oc

di Sergio De La Pierre

(pubblicato in: Forum autonomista 5-6)

Nella stanza entrò una donna: capelli rossicci, vestita da casalinga, giovane, sui trent'anni, molto bella, con in braccio un bimbo di due mesi. Disse alla quindicina di presenti: "Scusate, devo allattare il bambino, là fuori fa freddo". Si mise in un angolo, accanto alla stufa. Più tardi mi avvicinai a lei, le chiesi chi era: "Io non sono occitana - rispose - vengo da fuori, ma mio marito è originario di qui; abbiamo deciso di mettere su un allevamento di capre, io cerco di dargli una mano, sa, con tre bambini". "Ma come si trova, qui a Macra -le domandai- a lavorare in casa, in una valle così lontana dalla sua città, riesce a integrarsi? Le piace il lavoro dell'allevamento delle capre?" " Certo -rispose-, ci si sente legati con l'economia del paese, è una cosa che sentiamo tutti, e poi lei non pensi che io sia una casalinga". "Ma scusi, che lavoro fa allora?" "Allevo capre con mio marito, ma ho una funzione mia qui, io sono il medico condotto del paese".

Questa scena si svolge nel tardo pomeriggio del 24 aprile 1999, nella grande cucina della casa del sindaco di quel comune della valle Maira in provincia di Cuneo, in coda al convegno "Occitania, un epaci per deman?" Tra i presenti, in cucina, oltre al sindaco Valerio Carsetti, ci sono Roberto Vaglio, assessore alla montagna della Regione Piemonte, Ines Cavalcanti dell'associazione Ousitanio vivo, Diego Anghilante e Dino Matteodo della redazione dell'omonimo periodico mensile, Antonio Bianco dell'Associazione occitani valmairesi di Milano, Giacomo Lombardo presidente della Chambra d'oc, Nico Vassallo direttore di diversi progetti della rinascita occitana, Bruna Peyrot, assessore alla cultura della Comunità montana della val Pellice, una coppia proveniente dall'"Occitania granda" (come qui viene chiamata l'Occitania francese), lui originario di Lille, lei italiana, che hanno aperto nei pressi di Carcassonne una sorta di azienda agrituristica con finalità culturali, legate alla valorizzazione del vino locale e con l'ambizione di organizzare convegni e seminari di studio sul futuro dell'Occitania e dell'Europa. Questo, tra l'altro, il motivo per cui la conversazione si svolgeva passando da una lingua all'altra: dal francese che i militanti occitani parlavano splendidamente, al piemontese sfoggiato dall'assessore, alla lingua d'oc e all'italiano, diventato, per l'occasione, "lingua franca".

E il convegno, alcune ore prima, aveva visto la presenza di una novantina di persone, tutte intente a parlare con competenza e grande spirito comunicativo del futuro delle loro valli: non c'erano noiose relazioni introduttive, tutti pareva che sapessero già tutto, ma erano alla ricerca di qualcosa, col sindaco nel mezzo di un grande cerchio, col compito di dare la parola. E sono intervenuti esponenti di quella che pare "una nuova società che si sta costruendo" (come mi dirà Ines Cavalcanti): amministratori di Comuni e Comunità montane, consiglieri provinciali, cantautori, imprenditori, insegnanti, tecnici della progettazione territoriale, un senatore della Lega Nord (che informa sull'andamento dei lavori parlamentari per l'approvazione della legge nazionale di tutela delle minoranze linguistiche), esperti di linguistica. Invitato d'onore Xavier Lamuela, proveniente dalla Val d'Aran (enclave occitana nella Catalogna spagnola) e docente di linguistica all'Università di Tolosa, che ha risposto in lingua d'oc alla domanda di un cantautore su alcuni problemi relativi alla normalizzazione linguistica.

Un'idea di sviluppo complesso e integrato

Ines Cavalcanti mi aveva avvertito prima del convegno di Macra: Se vuoi aggiornarti sulla situazione attuale delle nostre valli basta che sfogli "Ousitanio Vivo" degli ultimi due o tre anni, è da allora che tutto è cambiato.

Gli occitani d'Italia, certo, rispetto a una mia precedente ricerca (1), sono sempre quelli: circa 180.000 cittadini raccolti in dodici valli, nove in provincia di Cuneo e tre (Pellice, Germanasca e Chisone, le valli valdesi), in provincia di Torino. Zona di montagna, che ha conosciuto lo spopolamento dell'epoca del "miracolo economico" nel triangolo industriale, abbandoni di pascoli e boschi, un'economia locale residuale e che tutt'al più poteva immaginare uno sviluppo legato al turismo speculativo e alla "filosofia della seconda casa" per i cittadini della pianura, come si esprime Fabrizio Bartaletti, docente di Geografia economica all'Università di Genova in un intervento sulla situazione della valle Po (OV, 2/1999). Soprattutto dall'inizio degli anni Settanta, in concomitanza col cosiddetto revival delle minoranze etnico-linguistiche verificatosi un po' in tutta Europa, anche in queste valli sorsero organizzazioni e movimenti di carattere prevalentemente culturale, sia pure con notevoli differenziazioni interne: già nel decennio precedente era nato Coumboscuro in un piccolo centro della valle Grana (Sancto Lucio), che si rifaceva alla cultura "provenzale" di origine mistraliana e rifiuterà sempre il termine "Occitania" (che comprende ben sette regioni della Francia meridionale); poi fiorirà una miriade di gruppi locali, folclorici, musicali, di danza e teatro, che conosceranno un indubbio successo; e già si segnaleranno iniziative nel campo del "recupero della lingua", corsi volontari in alcune scuole in orario extracurricolare (ma si distingueva, unica, la pluriclasse elementare di Sancto Lucio dove le lezioni erano svolte, semiufficialmente, in italiano e provenzale). Infine, nasceva il Movimento autonomista occitano, che pur rifacendosi a una precedente esperienza "francese" (il Partito nazionalista occitano fondato nel 1959 da François Fontan), in nome di un orizzonte di riferimento ampio (l'"Occitania granda", appunto) e di una filosofia con forti connotazioni "nazionalistiche" (il cosiddetto "etnismo" di Fontan), andrà via via elaborando una visione non strettamente "culturalista" dell'identità occitana, ed elaborerà riflessioni che prenderanno in considerazione le componenti sociali, economiche e politico-istituzionali all'interno del suo progetto complessivo di "rivendicazione di un'identità nazionale". Questa situazione perdurerà abbastanza immutata, ma forse con crescente debolezza dei movimenti che pure si erano sviluppati per due decenni, sino alla seconda metà degli anni Novanta.

Non so descrivere com'è avvenuta la svolta, solo qualche accenno me ne viene dai colloqui con le persone intervistate: si riescono a ottenere dei finanziamenti dell'Unione europea per dei progetti di sviluppo integrato, le Comunità montane e gli eletti di diversi partiti si fanno carico di un senso di identità e di appartenenza alla storia e alla cultura d'oc che prima rifiutavano, la stessa Regione Piemonte, oltre all'istituzione dell'assessorato alla montagna con un titolare particolarmente attivo e presente sul territorio, promulga nel 1997 una legge che integra e amplia la portata di quella del 1990 che parlava di "Tutela, valorizzazione e promozione della conoscenza dell'originale patrimonio linguistico del Piemonte" (di cui parla F: Ferraresi nell'editoriale di OV, 6/1997). Ma tutto ciò non toglie che nell'attuale "rinascita occitana" vi sia un qualcosa di impalpabile, la cui presenza si avverte, e le cui cause sembrano andare al di là di eventi puramente esteriori. E tutto ciò, la difficoltà cioè di descrivere le "cause" del grande rinnovamento che sembra in atto, è solo paragonabile alla difficoltà di descrivere il rinnovamento stesso, perché, talora, si ha l'impressione di un'insufficienza che coinvolge, innanzitutto, il linguaggio stesso. Parole come "progetto di sviluppo integrato", "rinascita culturale", "centralità del territorio antropizzato" sembrano avvicinarsi a ciò che sta accadendo nella realtà, ma lo spirito che aleggia su di essa - come vedremo - apparirà solo nell'ultima intervista da me fatta, quella con una militante occitanista della prima ora, Ines Cavalcanti.

Tutto ciò, naturalmente, non per sfuggire al compito al quale mi accingo, e cioè di descrivere i contenuti di questa nuova progettualità diffusa, ma per avvertire che già tale descrizione, con le inevitabili suddivisioni dell'analitica tradizionale (economia, politica, cultura, lingua minoritaria, associazionismo ecc.), contiene una separazione eccessiva di ciò che appare sempre interconnesso, e interconnesso, soprattutto, da qualche cosa che mi sembra di poter identificare, più che con l'esistenza di relazioni funzionali tra le diverse "sfere della vita", con la creazione e diffusione di un simbolo portatore di valore, che forse è la creazione di un moderno mito, carico di potenzialità per il futuro: la mitopoiesi dell'Occitania.

Non si spiegherebbe diversamente la capacità di questa gente, e la difficoltà per l'estraneo, di districarsi tra un'infinità di sigle di progetti, sempre rinnovate e reinventate, e che riguardano anche gruppi, associazioni, coordinamenti interistituzionali, società a capitale pubblico-privato per lo sviluppo del territorio, soprattutto una rete di relazioni che sembra arricchirsi di potenzialità creative quanto più si infittisce. Per queste ragioni, forse, chi parla di economia e di impresa non può fare a meno di parlare di cultura e di valori territoriali, l'insegnante che si occupa di lingua occitana a scuola non può non parlare di toponomastica, di memoria storia e di ambiente, il progettista del territorio o l'amministratore locale sentono il bisogno di occuparsi della lingua d'oc che magari non parlano, lo stesso militante occitanista sembra non mettere più al centro la propria idea di "minoranza occitana" per lasciar spazio, uno spazio liberatorio, all'idea di Occitania di tutti, di cui nessuno può più appropriarsi in modo esclusivo.

Macra

Il comune che ha ospitato il convegno col quale abbiamo iniziato il nostro piccolo viaggio è uno dei più piccoli d'Italia: 78 abitanti, dai 2700 di qualche decennio fa. Il sindaco Carsetti è di origine marchigiana, non parla ma capisce la lingua d'oc, ha vissuto diversi anni in America Latina, adesso lavora a Milano e dedica il week-end al lavoro, totalmente gratuito, mi dice, sui progetti di rinascita del suo comune.

"Abbiamo la fortuna di avere una montagna incontaminata, e anche di non avere né impianti sciistici né grandi alberghi. Questa è la risorsa dalla quale intendiamo partire".

Quali sono i vostri progetti?

Intanto favorire un nuovo tipo di turismo. Un primo progetto si chiama Ecomuseo delle valli occitane, che dovrebbe avere come bacino di riferimento l'intera val Maira. L'idea di ecomuseo nasce in Svezia e in Svizzera, e significa creare itinerari turistici su ciò che c'è o costituisce memoria storica. Non vogliamo costruire nuovi edifici, ma sistemare quelli che val la pena visitare, alcuni abitati altri no. Il nostro museo è centrato sul tema dei nostri antichi mestieri itineranti: acciugaio, bottaio, cappellaio, parruccaio.

E il progetto dell'ecomuseo si collega a uno più ampio ripreso da un'esperienza marchigiana: la R.O.T.I - Rete di offerta turistica integrata. Un modello di sviluppo turistico flessibile e differenziabile per il territorio dell'Alto e Medio Metauro, che prevede, come risulta dalla Sintesi metodologica del progetto presentata a Urbania nel 1997, una nuova offerta turistica fondata sull'interazione tra agriturismo, gastronomia locale, luoghi culturali e artistici, ambiente, sport ma, anche, progetti connessi di recupero del patrimonio edilizio e artistico, realizzazione di nuove strutture imprenditoriali ecc. Per Macra tutto ciò significa, come primo passo, affrontare il problema della ricettività, ma col rifiuto della struttura alberghiera tradizionale, a favore di un "albergo diffuso" che crea ospitalità in edifici rurali già esistenti, ristrutturati col lavoro di muratori, falegnami, artigiani locali, ai quali vanno aggiunti gli ostelli/rifugi escursionistici e la "foresteria" dell'ecomuseo.

Ma la ripresa economica locale non rischia così di essere troppo dipendente dal turismo?

No. I soldi che arrivano dall'Unione europea o dalla Regione vogliamo usarli anche per dei progetti di sviluppo di un'economia locale. Già è successo che un nostro emigrante che faceva il giornalaio a Torino è ritornato e ha aperto una liquoreria per la produzione del genepì. Ma il nostro sogno è ripopolare il paese e ripopolare i pascoli. Intanto vogliamo che i giovani con titolo di studio non se ne debbano più andar via. Così, con capitale pubblico e privato, abbiamo fondato la società Eurod'oc services per la gestione di servizi multimediali dove dei giovani, abitando qui, potranno svolgere il "lavoro da lontano" consistente nel fornire servizi informatici multimediali ad aziende ed enti pubblici ubicati in tutta Italia. Ma il grande obiettivo è utilizzare la montagna come risorsa. Abbiamo cercato di convincere i proprietari di terreni abbandonati a tenerli puliti utilizzando in modo consorziato dei fondi U.E. per lo sfalcio delle erbe (programma set aside), ma per ora non abbiamo avuto successo. L'idea, comunque, era di invogliarli a fare una scommessa sul futuro: proteggere il capitale natura per le future generazioni, impedendo così l'abbandono o interventi speculativi. Ci siamo ispirati al modello della "partecipanza" presente da antica data nel comune di Nonantola (Modena), dove dei proprietari misero in comune terreni paludosi, riuscendo così ad avere poi forza sufficiente per la bonifica e ad impedire la frammentazione o accorpamenti eccessivi quando i terreni diventarono produttivi. Ma, intanto, stiamo facendo dei passi avanti per la rinascita della pastorizia. Un pastore della pianura già porta qui i suoi capi per l'alpeggio. Abbiamo comunque capito che la pastorizia può rinascere rinnovando il tipo di animali, più consoni agli attuali gusti del mercato. Il sindaco di Celle Macra, qui vicino, ha già un suo allevamento di cavalli merens e di pecore sambucane. Per la lana, poi, stiamo puntando all'introduzione dell'alpaca e della vigogna, che importeremo dall'America Latina: ciò in base a uno studio che abbiamo commissionato, con risultati positivi, congiuntamente alle università di Torino e di Lima in Perù, e all'Istituto superiore di studio della maglieria di Biella.

L'intervista dura un paio d'ore. Il sindaco fa appena in tempo a buttare lì qualche altro progetto in via di realizzazione: creazione di un impianto di itticoltura sperimentale, riqualificazione dei vecchi terrazzamenti per la coltivazione della vigna e di nuovi frutti di bosco sperimentali, un vivaio d'alta quota, raggiungimento di una maggiore autonomia energetica con la dotazione di pannelli fotovoltaici alla vecchia centralina idroelettrica... Negli anni Settanta, nell'Occitania "francese", girava già uno slogan tra i movimenti occitanisti: "Volèm viure [vivere], trabalhar e decidir al paìs" (2). Ma lo slogan preferito da Valerio Carsetti, come risulta da una sua intervista a Ousitanio Vivo, è: Volèm crear al pais (OV, 3/1997).

Espaci occitan

La rinascita delle valli occitane del Piemonte non è fatta, però, soltanto di una miriade di iniziative puntuali, localizzate in micro-situazioni come quella appena descritta (3). Esse stanno trovando un riferimento più ampio, insieme progettuale e simbolico. Nel 1997 la Comunità montana della val Maira lancia l'idea dello Espaci occitan, che avrà sede a Dronero e cui aderiranno pressoché tutte le altre Comunità montane, diverse associazioni culturali e anche direzioni didattiche delle scuole; il progetto verrà fatto proprio dagli "Stati generali del Piemonte", organizzati dalla Regione per la promozione di un nuovo modello di sviluppo territoriale (OV, 1/1998). Vediamone la descrizione che, in lingua d'oc, ne fa Ousitanio Vivo (5/1997):

  "Lo projècte a coma tòca [compito] la creacion d'un Istitut d'Estudis Occitans e d'un Musèu Sonor de la Lenga Occitana: "SON DE LENGA", per botar las valadas al meteis [stesso] nivèl cultural que Catalonha, Val d'Aran e Occitania granda, per la promocion lenguistica e culturala. I aurà parier un emportant sèti per la producion culturala e per la visibilitat d'aquela cultura amb [con] lo musèu sonor coma premier estrument d'ensenhament e coma veirina. L'Istitut devarà dirigir tot lo trabalh de l'Espaci e serà un centre de servici lenguistic per totas las valadas, per portar una cultura sovent d'eleit al contacte de totes, e per ligar la cultura a l'educacion, la formacion e l'economia... Un'autra tòca de l'Istitut serà l'organisacion de concèrt, convenhes, projeccions, debats e seradas publicas dins lo meteis Istitut... Dins la casèrna [l'ex caserma di Dronero dove avrà sede "Espaci"] i aurà tanben d'espaci per un OSTAL DEL TORISME VALADAS OCCITANAS, per la promocion d'itineraris culturals e turistics sus la tèrra de frontiera de Region Piemont, Region Provença e Region Ròse-Alps..., per una CHAMBRA D'OC, una vetrina que prepausarà e vendrà directament los produches de qualitat del territòri (agricultura, artisanat, editoria...) amb una particulara "marca".

Uno "Spazio occitano", dunque - per riprendere la sintesi che ne fa quel giornale, questa volta in lingua italiana -, "come zona geografica di identità, come area di identità culturale, come area territoriale turistica e produttiva, come nicchia fisica e di mercato, come area preferenziale di credito e come area economica di sviluppo locale". Ma dalle interviste che mi hanno rilasciato il presidente di Espaci e il direttore dei progetti mi è sembrato che Espaci occitan sia carico di significati complessi, forse non sempre coerenti, ma di estremo interesse: "vetrina" della creatività culturale, sociale ed economica delle Valli in un luogo preciso; centro regolatore per la distribuzione delle risorse (solo 3 miliardi, alla fin fine, dell'Unione europea, più qualcosa forse dalla Regione Piemonte) tra i singoli progetti specifici e tra le diverse Comunità montane (presso le quali vengono costituiti i G.A.L. - Gruppi di azione locale); soprattutto, come vedremo meglio tra poco, luogo di elaborazione simbolica di quella che potremmo chiamare una serie di mappe mentali di uno spazio a geometria variabile, connesso con un'idea di progettualità in fieri e, insieme, in progress. Ciò, forse, permette di spiegare perché a Espaci occitan può far riferimento sia chi sta raccontando la sua piccola esperienza di insegnamento della lingua, sia chi sta riflettendo sulla costruzione dell'Europa del futuro.

Mariano Allocco, presidente della Comunita montana val Maira e presidente di "Espaci occitan", si sofferma ampiamente sul tema degli spazi:

"Sinora aveva prevalso l'idea della struttura a foglie d'albero: le nostre valli, come tante foglie, facevano capo alla pianura, l'albero. Ora stiamo lavorando sul concetto di struttura a rete; partendo dalla memoria storica della ricchezza economica delle nostre valli, particolarmente significativa nel Quattrocento, vogliamo far sì che esse si parlino tra loro".

 Questo è il livello progettuale dei "Patti territoriali", che serviranno a censire tutte le ipotesi di investimento per le valli. Ma la rete è, appunto, a geografia variabile: esiste il riferimento all' "Occitania granda", "il cui confine, a Nord, coincide col limite della coltivazione dell'ulivo"; esiste il riferimento ai problemi comuni a tutte le zone di montagna: ecco il crearsi di una serie di relazioni con vari progetti di valorizzazione delle "alte terre europee"; solo in questo quadro ha allora senso riqualificare i rapporti con la pianura, con quella "provincia granda" di Cuneo che ha conosciuto la "desertificazione umana" prodotta dal miracolo economico, un pò come il Sud d'Italia; esiste, soprattutto, la scoperta della vocazione "mediterranea" di queste montagne, per i loro antichi riferimenti culturali, economici, ideali "di là" dalle Alpi: ed ecco la centralità del rapporto con la Catalogna, e i progetti che ruotano attorno all'idea di "Arco latino". Attorno a questa idea-guida docenti delle università di Barcellona, Tolosa, Monpellier e Torino lavorano sui temi della normalizzazione linguistica e a un progetto di Università dell'Arco latino, mentre una fitta rete di rapporti che coinvolge anche le università, ma soprattutto le regioni del sud-ovest europeo (e qui "trattano alla pari" il Conseil general della val d'Aran, la Generalitat de Catalunya e la Comunità montana della val Maira), sta preparando l'Eurocongresso 2000 dell'Espaci occitano-catalano".

Sullo stato di avanzamento dei vari progetti connessi a Espaci occitan, ma anche sulla loro filosofia, si sofferma Domenico Vassallo, direttore progettista, libero professionista che ha come committenti le Comunità montane. I progetti collegati a Espaci di cui mi parla lungamente sono: 1) Occitano lingua viva, sulla riappropriazione della lingua, che è quello già operativo, e sul quale avrò maggiori informazioni da Ines Cavalcanti (4); 2) la via occitano-catalana, "che diventerà il più grande sito internet d'Europa, rete informativa su proposte turistiche integrate, che riguarderanno la via del romanico (cioè l'insieme delle chiese romaniche di montagna, del sud della Francia fino a Santiago de Composela), le vie degli antichi pellegrinaggi, itinerari a cavallo tra i castelli catari, l'itinerario pittorico di Hans Clemer.."; 3) Le macchine del tempo: "progetto di recupero del disagio giovanile, che utilizza la legge Turco 285/1995". Espaci, comunque, entrerà a regime nel
2000, dopo che saranno teminati i lavori, ora in cantiere, sull'ex caserma di Dronero.

Ma i progetti di cui si occupa Vassallo non si fermano qui: "la parola occitana mistà, che significa immagine, pittura sacra, dà il nome a un progetto di ristrutturazione di circa venti chiese o cappelle, romaniche e gotiche, commissionato dalle Comunità montane delle valli Po, Maira, Grana, Varaita e dall'Ordine Mauriziano, in quest'ultimo caso per l'abbazia di Staffarda. Mistà. Storia, arte e fede nelle valli del marchesato di Saluzzo intende rivalorizzare il ricchissimo patrimonio di arte sacra delle valli occitane, "la piccola Siena del Piemonte" (5), anche in vista degli appuntamenti del 2000: Giubileo e ostensione della Sindone a Torino". E poi, ancora, il progetto di creare in val Pellice l'Istituto europeo per la valorizzazione della Pietra di Luserna (in collaborazione con la Comunità montana, la Tavola Valdese e i comuni di Luserna San Giovanni e Rorà - cfr. anche OV, 7/1998, p. 7): si tratta di una preziosa e rara pietra da costruzione, una peyra d'oc attorno alla quale nasceranno un ecomuseo, un Istituto professionale in scienze minerarie e, addirittura, una borsa-valori internet...

Venti miliardi complessivi, quelli gestiti dalla rete di progettisti diretta da Domenico Vassallo, di cui tre per "Espaci occitan": "i progettisti, specialisti in varie discipline, sono una trentina per Espaci, una sessantina per Mistà, una ventina per la Pietra di Luserna.

I fondi provengono quasi tutti dall'Unione Europea, ma la nostra scelta di fondo è stata: non chiediamo i fondi per i progetti culturali alle agenzie europee di promozione culturale, bensì a quelle che si occupano di sviluppo economico, cercando di dimostrare loro che l'investimento in cultura è quello che ha maggiori ricadute proprio sul piano economico. Il risultato è che gli occitani di Francia ci invidiano, spesso ci invitano a trattare con le loro istituzioni, perché abbiamo acquisito maggiore esperienza. Questo, per noi, è il nostro contributo alla costruzione dell'Europa".

Chambra d'oc

Anche se oggi opera in collegamento con Espaci occitan, la Chambra d'oc nasce già nel 1990, come particolarissima camera di commercio: "Nel 1998 i nostri soci sono circa 180, artigiani, agricoltori, ristoratori, pastori, viticoltori, produttori di liquori, ma anche artisti che 'vendono' le loro opere d'arte - mi dice Giacomo Lombardo, attuale presidente della Chambra -. La nostra regola è di scegliere tra coloro che hanno produzioni di qualità, compatibili col territorio. Rifiutiamo il ruolo notarile delle altre camere di commercio.

Il nostro obiettivo è promuovere la produzione e commercializzazione dei prodotto delle valli, anche col marchio prodotto delle valli occitane. Abbiamo in testa un'idea di sviluppo che è l'antitesi di quello passato: partiamo dal concetto di terra come madre. Basti pensare al fenomeno di abbandono delle città, e di molti giovani che fanno ritorno nelle valli. Sì, sono d'accordo con Vassallo: il nostro obiettivo è il ripopolamento delle nostre valli, basta riuscire a dimostrare che qui si può vivere senza morire di fame, e anche vivere meglio che non in città. Per questo cerchiamo di valorizzare i nostri mestieri, artisti del vetro, artigiani del mobile...".

Ripopolamento delle valli, già, me ne avevano parlato sia Vassallo che Carsetti. Ma può farmi davvero qualche esempio concreto?

I fenomeni negativi di stagnazione demografica certo persistono. Ma due esempi in senso opposto esistono: la borgata Roure di Sampeyre e la frazione Chianale di Pontechianale in val Varaita. Qui è certo che la popolazione è aumentata, nascono bambini, sono nate nuove attività economiche, cooperative.

A Roure il figlio di un nostro emigrante è tornato e si è messo a fare formaggi. E a Chianale succede la stessa cosa, l'esempio più significativo è quello di due coppie giovani che hanno aperto un'azienda agrituristica e una pizzeria-polenteria [ne parla anche OV, 9/1998, p. 5]. Mi dica lei, chi è che ha voglia di aprire una pizzeria a 1700 metri d'altezza? L'unica spiegazione possibile di questo fenomeno non sta nell'economia, ma in una spinta di ordine culturale, il bisogno di riappropriarsi di una propria identità (6).

 Trovatori del 2000

Come accennato all'inizio, le riflessioni che mi sono parse più significative sulla "svolta" in corso nella piccola Occitania d'Italia sono scaturite dal colloquio con Ines Cavalcanti, fondatrice del Movimento autonomista occitano, che vive in prima persona, e riesce a esprimere ciò che la nuova situazione ha significato - in termini di ripensamenti profondi sul passato e sulle prospettive dell'avvenire - per coloro che dell' " occitanismo" hanno fatto una bandiera di lotta trentennale:

"Oggi - dice la Ines- il M.a.o. non esiste più, anche se formalmente non è mai stato sciolto. Ousitanio vivo ha accettato la nuova realtà e tutti noi militanti della prima ora - siamo rimasti in pochi, in fondo una diecina di persone- lavoriamo all'interno delle più diverse iniziative. Noi, negli anni Settanta, abbiamo lanciato una parola sconosciuta, "Occitania", che evidentemente ha scavato nel profondo, e quando due o tre anni fa nasce il progetto Espaci occitan, ha avuto l'effetto di un terremoto.

Quasi nessuno di noi primi occitanisti è dentro le istituzioni, Comunità montane o Comuni, ma la nostra idea è diventata patrimonio un po' di tutti. La verità è che noi, anche con un travaglio interno, abbiamo smesso di considerarci portatori di una "linea politica", e soprattutto di sentirci gli unici depositari dell'idea occitana.

Questo, magari, è ciò che continua a fare qualche gruppo ancora legato al passato, ma noi abbiamo cercato di capire qualcosa che usciva dai nostri schemi. Gli operatori istituzionali hanno incominciato a capire che il riferimento alla cultura profonda del territorio rendeva più efficace a dava senso al loro lavoro. Così gli operatori economici".

Vuoi dire che c'è stata una sorta di riappropriazione dell'idea occitana dall'esterno dei movimenti occitanisti?

Sì. Noi abbiamo sempre pensato che la nostra cultura profonda fosse nelle alte valli, dove ancora si conserva la lingua. E invece lì è successo, ad esempio, che le danze si andavano perdendo, e in seguito la gente se ne è riappropriata quando si è accorta che incominciavano ad andare di moda a Cuneo e a Torino. Sergio Berardo è il nostro cantautore più importante, ma la gente qui ha cominciato ad apprezzarlo dopo che lui ha fatto le sue tournées in Canada e in Bretagna. Gianna Bianco, la nostra esperta pedagogista che controlla i progetti di insegnamento della lingua, non aveva mai conosciuto l'occitano, l'ha voluto imparare e ora lo parla meglio di tanti di noi. Vassallo, che dirige i progetti di Espaci occitan, è originario di Genova e sai che Carsetti è marchigiano. Prima pensavamo a una lotta di resistenza nelle alte valli, ora il nostro obiettivo è il recupero delle basse valli; tra l'altro, quelli che lì decidono di imparare la lingua d'oc imparano una lingua più pura che non l'occitano ormai italianizzato delle alte valli. L'Occitania è quella che vuole la gente, ognuno la vive a suo modo, c'è chi ama le danze e chi la musica, chi la propria pizzeria di montagna e chi la progettazione del suo pezzo di territorio. C'è, anche, l'idea di Occitania che possono avere i tedeschi che si sono insediati a S. Martino di Stroppo..."

Il colloquio, allora, diventa fitto, ma esso investe, ancora troppo, un vissuto personale, ricco e sofferto e non del tutto elaborato. Carico di simboli, intuizioni, visioni, illuminazioni improvvise sul presente e sul futuro, e che riguardano l'Occitania piccola, l'Occitania grande, l'Europa. Una rivoluzione sul modo di intervenire nella società, che è anche una rivoluzione interiore. Ma è giusto, su tutto ciò, per ora, fare silenzio. E concludere con una sola parola, e la sua, assai curiosa, storia epistemologica.

La parola è trobaire, trovatore. Essa deriva dal verbo trobar, che di solito è tradotto con poetare, o comporre in musica, ma che nasce dal latino tardo medievale contropare o tropare, che significava immaginare, inventare, scoprire, trovare. Ancora oggi esistono dei poeti di lingua d'oc, ma coloro che si dedicano ad inventare il futuro, in quelle terre che furono sede, ottocento anni fa, di una promessa di civiltà per l'Europa intera, sembrano andare oltre i confini dell'arte e della poesia. Sono già nati, o stanno nascendo, i nuovi trovatori del 2000?

Note

(1) - Mi riferisco a S. De La Pierre, Gli occitani in Italia. Indagine 1990-91, in D. Canciani, S. De La Pierre, Le ragioni di Babele. Le etnie tra vecchi nazionalismi e nuove identità, Angeli, Milano 1993: in questo studio si può trovare in dettaglio l'analisi sulle Valli occitane d'Italia che viene sintetizzata nelle righe che seguono. Sullo stesso tema è doveroso citare il recente Occitania di S: Salvi, Luigi Colli Editore - Ousitanio Vivo, 1998. Il materiale della presente ricerca - che ne costituisce anche il limite - è costituito dalle ultime annate del mensile "Ousitanio Vivo" (citato con OV) e dalle interviste a cinque testimoni privilegiati.

(2) - Cfr. D. Canciani, S. De La Pierre, La stagione occitana in Francia. L'occitanismo contemporaneo tra politica e cultura, in Le ragioni di Babele, cit.

(3) - Tra i numerosi esempi di microprogettualità locale (puntualmente registrati da "Ousitanio Vivo"), citerò solo la complessa ristrutturazione architettonica e dell'ambiente costruito realizzata nel piccolo comune di Ostana (valle Po) per opera dell'architetto Renato Maurino; e, tra le valli valdesi, la ricchezza di progetti locali integrati che investe la valle Pellice. Per dovere di verità, va comunque detto che, come risulta anche da interviste a esponenti locali delle comunità valdesi apparse su OV, il rapporto tra comunità valdese (la "Chiesa-popolo") e identità occitana è piuttosto complesso e, tra i valdesi, non sempre condiviso.

(4) - L'insieme di progetti concernenti la diffusione della lingua, secondo Ines Cavalcanti, negli ultimissimi anni hanno riguardato tre aspetti: 1) la formazione degli insegnanti, in collaborazione col centro Aprene di Béziers, ha coinvolto una trentina di insegnanti delle Valli per corso; 2) l'introduzione dell'insegnamento in una dozzina di classi della scuola dell'obbligo; 3) incontri con ragazzi dell'Occitania francese, sia in una colonia estiva mista sia tramite videoconferenze. Da poco sta uscendo la rivista pedagogica "Paratge" trilingue (italiano, francese, occitano).

(5) - Per un primo approccio su questa preziosa arte di montagna (ma non solo su di essa), va segnalato il film documentario sugli occitani d'Italia "Valades ousitanes", di D. Anghilante e F. Valla, prodotto da Ousitanio Vivo nel 1997..

(6) - Ines mi informerà della presenza di una cinquantina di giovani recentemente stanziatisi in valle Maira, per una scelta di ordine culturale.